Ossia "lascia che vedano il kitsch", come recita l'aforisma con cui il quotidiano The Independent ha ribattezzato la mostra di Jeff Koons ospitata nelle sale della reggia di Versailles.
Per una serie di circostanze tanto fortuite quanto non del tutto imprevedibili, Versailles è stato il primo posto che ho rivisto in questo mio terzo viaggio a Parigi e devo dire che inizialmente la presenza delle opere di Koons, noto in Italia solo per essere stato il marito di Cicciolina, mi ha indisposto un poco. La sensazione che ho provato inizialmente è stata quella di una profanazione di un luogo sacro per l'arte da parte di un personaggio che, come molti altri di questi tempi, nasconde dietro l'etichetta di provocazione artistica la sua pochezza e le esagerate quotazioni di mercato.
Superato il pupazzo di palloni gialli (in realtà acciaio cromato) posto nella grande corte intera, tra gli ingressi detti "A" e "B", la sensazione si era rafforzata. La collocazione dell'opera sembrava una sterile provocazione che l'accostamento del giallo oro dell'acciaio con la doratura delle inferriate del castello non giustificava.
All'interno la mia impressione iniziale è lentamente mutata, il contesto era più circoscritto e questo permetteva di fare alcune constatazioni interessanti. Sebbene soffrissi un pò nel vedere che le grandi op
ere del Veronese venivano letteralmente ignorate in favore di un gigantesco cane fatto di palloncini d'acciaio, cominciavo a vedere qualche possibile lettura.
La grandeur è una cosa costruita, che si regge su un equilibrio precario, basta un solo evidente elemento di rottura per sgretolare un intero impianto retorico con effetti devastanti. Questo è maggiormente evidente nell'i
nstallazione detta Lobster, dove una grande aragosta dai baffi all'insù (subito ho pensato a Dalì e alle sue altrettanto contestate provocazioni) è appesa nel prestigioso Salon de Mars.
Tuttavia, se tutto si limitasse a questo, al gusto del contrasto stridente, della dissacrazione di un " santuario dell'identità francese" (parole non mie ma di un esponente dell'estrema destra locale, giusto per renderci conto che siamo in buona compagnia ad ogni latitudine), rimarremmo nel campo della pochezza, del già visto e potremmo lasciare il nostro in compagnia di Damien Hirst e dei tanti piccoli Avida Dollars minori che costellano questi nostri anni.
Solo entrando nella Sala degli Specchi e si osserva da lontano la grande luna blu di acciaio che riflette gli infiniti riflessi della sala, ci si accorge della presenza di qualcosa di più: dialogo a volte, come in questo caso, sfida o azzardato paragone in altre.
La collocazione di un grande cerchio di acciaio sembra scontata, dato il facile accostamento con gli specchi già presenti, ma non manca l'elemento di contrasto: il riflesso circolare deformante che pare voler piegare quello moltiplicatore e regolare (retorico?) degli specchi posti sulle pareti laterali.
In alcune sale Koons sembra quasi voler inscenare una sorta di competizione parodistica con la grandiosità delle opere del periodo del Luigi XIV, come quando colloca un suo magniloquente busto autoritratto, scolpito nel marco bianco, in posizione centrale all'interno di una sala, con un grande arazzo a fare da sfondo, mentre relega un suo busto del Re Sole, in acciaio, in un canto di un sala adiacente. Qui, oltre ad una precisa volontà di ribaltare i ruoli (marmo per sè, acciaio - materiale "povero" quanto appariscente per il bisto del re), di promuovere la proprio leggenda al pari di quanto fece il sovrano francese, si nasconde anche un'infida domanda. Dove inizia il kitsch e a quali condizioni? Forse, immortalandosi nel marmo, Koons intende trascinare con se nel ludibrio riservato al kitsch anche le solenni opere del palazzo.
Forse non è un caso neppure la collocazione di una leggenda contemporanea di Michael Jackson in una sala dove spicca il busto di Luigi XIV realizzato da Gian Lorenzo Bernini. Ciò nonostante, diversamente da quanto capitato in precedenza, il lavoro del maestro italiano. Se competizione esiste o era intesa, Bernini - primo creatore di un'arte a un tempo classica e spettacolare - con la sua capacità di creare letteralmente un soggetto diverso al cambio del punto di vista, rapisce lo sguardo e cattura ancora l'attenzione ed il sense of wonder dopo 400 anni, come l'americano, in un contesto differente, difficilmente potrebbe fare.
Nonostante le mie diffidenze iniziali, la mostra di Koons mi ha catturato, realizzando almeno in parte l'obiettivo che si era prefissa, che molti erroneamente identificavano nella mera autocelebrazione.
L'impressione finale è che la maggior parte dell'interesse sia creato da un'attento studio della collocazione delle opere, rendendo quasi la mostra stessa una grande installazione, somma di tutte le opere in essa contenute. Mi auguro per Koons che sia egli stesso il curatore, diversamente i suoi collaboratori avrebbero fatto un lavoro artistico migliore del suo, dando peso a qualcosa che in un contesto differente non avrebbe, o avrebbe in misura assai ridotta.
Ho provato, per pura curiosità, a decontestualizzare i lavori che avevo visto, pensandoli in un normale luogo espositivo, un museo o una galleria. Ho cercato su internet foto altre opere poste in ambienti differenti. Niente è stato in grado di risvegliare l'interesse che ho provato a Versailles. Prese in sè le opere di Koons sono un'acqua piatta, se si esclude il poco interesse che si può provare per il moderno trattamento della materia metallica.
L'insipienza realizzativa, l'ignoranza o il disinteresse per quell'artigianato da cui l'arte ha tratto per secoli la sua sostanza, resta uno dei limiti di Koons e di molti artisti contemporanei; alcune sue opere sono state in tutto o in parte realizzate da altri (una scultura in legno è stata realizzata - strano - da artigiani italiani) e soltanto concepite da lui, segno di come ormai l'arte si consideri concentrata solo nel momento creativo astratto e non nell'atto di conferire forma alla materia secondo un preciso linguaggio senza il quale essa rischia di appiattirsi in un pensiero mediocre in cui anche i livelli di lettura non immediati si limitano ad ormai stantii clichè, non per caso kitsch.
Solo io ho l'impressione che quest'arte contemporanea sia morta da almeno 20 anni?
2 commenti:
appassionata di storia dell'arte sin da piccola, quando ho visto il servizio al telegiornale sono rimasta anche io un po spiazzata, non conosc l'artista, e le opere cha hanno fatto vedere al tg mi hanno fatto accaponare la pelle, e da molto tempo che mi chiedo se le avanguardie artisiche abbiano un senso, da quella volta che la professoressa di grafica ci ha portato una rivista di arte moderna e l'artista in questione aveva realizzato delle ( ORRIBILI) magliette con attaccati sopra peli umani.....questo era il meno peggio che ho visto. Non è tanto il kitsch ad infastidirmi quanto lo spazio che gli si da, ormai per avere notorietà in ambito artistico, non contano più i contenuti ma il sensazionalismo, quelle opere messe in un altro contesto sarebbero sembrate giocattli da luna park, non hanno un significato a se, fanno scalpore perchè sono li nella reggia di Versailles.
opps scusa mi sono dilungata!!
ciao Calendula
Ciao!
Per prima cosa grazie per essere passata ed aver letto il post chilometrico!
Sulla provocazione e sull'arte-spettacolo come avrai capito mi trovi abbastanza d'accordo; credo si sia arrivati ad un eccesso nel quale l'arte contemporanea (almeno quella posteriore alla pop art) non si preoccupa neppure più di coniugare le istanze "avanguardiste" con una riflessione sulla forma d'arte, come avveniva per alcune di esse all'inzio del novecento.
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