Non avevamo ancora visto la stazione di Shinjuku all'ora di punta mattutina, tra le 7:30 e le 9 circa, siamo rimasti letteralmente impalati di fronte all'impressionante marea di persone che ci si è parata davanti all'incrocio del Lumine 2 sulla Koshu Kaido (photo by unstoppabot, see the original here, used under CC license). Migliaia di persone, per lo più uomini vestiti di nero e donne in tailleur grigio, attraversavano la strada in direzione opposta alla nostra, affrettandosi verso il posto di lavoro. La scena che mi è subito tornata in mente è quella in cui Neo entra per la prima volta all'interno di Matrix.
Subito dopo, ricordai quando da bambino, in campagna, inciampai per la prima volta in un formicaio, distruggendolo e causando la fuga impazzita di migliaia di formiche che si urtavano a vicenda, senza capire esattamente cosa dovressero fare.
Ho perso il conto di quanti urti involontari abbiamo subito fino all'arrivo al treno. Le stazioni di Tokyo all'ora di ingresso al lavoro mi hanno dato l'idea di una zona franca dove ogni regola della rigida etichetta giapponese viene ignorata; si può subire di tutto senza udire una parola di scuse.
Sul treno per Kamakura, uno di quei treni locali senza posti numerati, trovammo una rivista di manga dedicata, in apparenza, ad un target di salary man, dal momento che quasi tutte le storie sembravano ambientate in contesti lavorativi.
Sfogliai la rivista finchè non si sedette accanto a noi una signora sui quarantacinque anni che rimase in silenzio ad ascoltare me e Federica parlottare (lo confesso: non facciamo altro; il silenzio tra noi è un concetto meramente astratto) fin quando non decise di rompere il ghiaccio con la consueta domanda sulla nostra provenienza.
Accertatasi che eravamo italiani, ci chiese che tipo di lavoro facevamo. Chiarito anche questo punto, iniziò il vero discorso che forse le premeva affrontare.
"Voi tornate a pranzo alle vostre case?", chiese.
"Noi no perchè abitiamo troppo lontano, non riusciamo ad andare e tornare nel tempo della pausa pranzo. Ma chi può, lo fa".
"Allora pranzate con la vostra famiglia".
"Quando è possibile si. Noi possiamo solo a cena".
"Molti uomini giapponesi a volte trascorrono le ore dopo il lavoro coi colleghi e non tornano a casa neppure per la cena", incalzò lei.
Cercammo di essere un pò diplomatici rispondendo che da noi era un prassi poco o per nulla diffusa, ma si capiva che la nostra interlocutrice non approvava questo tipo di stile di vita ed era (o appariva) interessata alle usanze di una società - come quella italiana - nota per tenere in forte considerazione i legami familiari.
"Nel weekend, voi mangiate con la vostra famiglia? Vedete i vostri genitori?"
Devo dire che se la signora era alla ricerca di uno stereotipo dell'italianità percepita dagli stranieri, almeno per quanto riguarda l'ambito familiare, poteva dire di aver fatto tombola.
"Di solito andiamo a mangiare dai nostri genitori almeno una volta alla settimana", rispondemmo.
Un pò più triste furono i suoi: "Da noi si usa poco" che usava per intercalare di quando in quando le nostre risposte.
Alla fine, però, la signora sembrò essere in qualche modo molto compiaciuta delle nostre risposte. Alla fine del nostro dialogo, dopo che lei ebbe tessuto per qualche minuto le lodi dell'ex calciatore Hidetoshi Nakata, ci congedammo alla stazione di Kamakura.
La domanda dietro una discussione dal gusto per certi versi surreale è semplice quanto inquietante: una persona interessata a cose simili lo fa per verificare la validità del proprio stile di vita o perchè - senza mezzi termini - lo si trova profondamente sbagliato?
Ho paura che, per noi come per loro, sarà una domanda senza risposta.
1 commenti:
Io ho visto la folla in una stazione più piccola, Kamata, ed era impressionante! Non immagino cosa possa essere Shinjuku!! Incredibile l'incontro con la signora, di solito queste cose accadono più a sud, tipo nel Kansai, dove sono tutti un pò pazzerelli! Però che esperienza!
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